Affitto a canone concordato, come funziona.
Si tratta di un contratto locazione a prezzi calmierati dove i beneficiari sono sia gli inquilini, ma anche i proprietari, che pagheranno una cedolare secca più bassa, al 10% .
Come si stabiliscono i canoni concordati.
Per prima cosa è necessario che si attivino il comune e le associazioni più rappresentative a livello locale dei proprietari e degli inquilini. Insieme devono infatti stabilire le modalità di valutazione degli immobili: il territorio comunale viene suddiviso in zone urbane omogenee, cioè delle aree aventi caratteristiche simili per valori di mercato, dotazioni infrastrutturali (trasporti pubblici, verde pubblico, servizi scolastici e sanitari), tipologie edilizie (categorie e classi). Per ogni area gli Accordi territoriali devono prevedere un valore minimo ed un valore massimo del canone considerando la categoria catastale, lo stato manutentivo dell’immobile, eventuale/i pertinenze/i, presenza di spazi comuni, dotazioni di servizi tecnici, presenza di mobilio.
Il prezzo del canone mensile concordato sarà quindi più basso di quelli di mercato, calcolato nella fascia compresa tra i minimi e i massimi individuati, viene determinato come moltiplicazione tra il valore in euro per metro-quadro, con un valore minimo/massimo per ogni area come stabilito dall’Accordo, e la metratura dell’immobile. Quanto ottenuto è il canone che va indicato nel contratto.
Nel caso in cui le parti contraenti concordino una durata superiore ai tre anni, la fascia di oscillazione dei canoni relativa alla zona ove è ubicato l’immobile subirà un aumento nei valori minimi e massimi pari al:
– 5% in caso di durata del contratto pari a quattro anni (4 + 2);
– 10% in caso di durata del contratto pari a cinque anni (5+2);
– 15% in caso di durata del contratto pari a sei anni (6+2).
Rispetto ai contratti liberi ci sono due differenze fondamentali:
– La prima è che durano meno: tre anni più due di rinnovo automatico alla prima scadenza o altri 3 previa intesa.
– La seconda sono le agevolazioni fiscali:
Per i proprietari esistono tre interessanti sconti fiscali, più una potenziale, a seconda dei comuni
1. L’imponibile irpef (la parte del canone, cioè, che va dichiarata sul 730 o sull’unico) è del 66,5%, anziché l’85% ordinario, nel caso in cui non si scelga la cedolare secca.
2. L’imposta di registrazione (che proprietario e inquilino devono di norma pagare metà per uno) è dell’1,4% annuo sul valore del canone, anziché del 2%.
3. Per chi sceglie l’opzione della cedolare secca l’aliquota unica è ridotta dal 21% al 10%.
4. I comuni possono (non sono obbligati: consultate il vostro comune) stabilire aliquote più basse per l’imu o maggiori detrazioni. Il governo dispone che i comuni possono portare al al 4 per mille l’aliquota imu per queste abitazioni, che diversamente sarebbero soggette alla fascia compresa tra il 7,6 e il 10,6 per mille delle seconde case.
Per gli inquilini a basso reddito, inoltre, sono stabilite detrazioni fiscali sulla dichiarazione dei redditi rispettivamente di 495,80 euro (se il reddito complessivo che non supera 15.493,71 euro), e di euro 247,90 (se il reddito complessivo giunge fino a 30.987,41 euro)
Conviene dunque questo contratto? Si, sempre e quando la differenza tra il canone concordato e quello libero non sia eccessivo (fino a un 25% conviene).